Corrado Alvaro nacque il 15 aprile 1895 a San Luca, primo genito dei sei figli di Antonio e di Antonia Giampaolo. Il padre, maestro elementare, fu fondatore di una scuola serale per contadini e pastori analfalbeti; la madre proveniva da una famiglia della media borghesia. A San Luca trascorse un'infanzia felice, ricevendo la prima istruzione dal padre e da un vecchio maestro del luogo. Nelle ore sere d'inverno accanto al camino ascoltava il padre leggere alla madre gli autori prediletti: Manzoni, d'Azeglio, Balzac e Astriani. "Avevo passato dieci anni in quel mucchio di case presso il fiume, sulla balza aspra circondata di colli dolcissimi digradanti verso il mare, i primi dieci anni della mia vita, e pure essi furono i miei più vasti e luoghi e popolati" (da Memoria e vita).
Terminate le scuole elementare, proseguì gli studi nel collegio di Mandragone, a Frascati, scuola retta dai Gesuiti.
Nel 1907 sono ospiti dello stesso collegio i fratelli Beniamino e Guglielmo. Qui iniziò a scrivere poesie e racconti. Dopo i primi anni di ginnasio venne espulso dal collegio perché sorpreso a leggere testi considerati proibiti (l'Intermezzo di rime di D'Annunzio.
Obbligato a cambiare scuola, fu mandato nel collegio di Amelia, in provincia di Perugia, dove terminò il ginnasio. Completò gli studi al Liceo "Gallupi" di Catanzaro, vivendo prima come ospite del convitto Tubelli. Scrisse un opuscolo dedicato a Polsi nell'arte, nella legenda e nella storia (1912), saggio che porta in calce la firma "Corrado a Alvaro . Studente liceale".
Nel gennaio del 1915 fu chiamato alle armi e assegnato a Firenze, a un reggimento di fanteria, e seguì il corso allievi ufficiali nell'Accademia militare di Modena, uscendone con il grado di sottotenente.
All'inizio di settembre si trovò in zona di guerra, a novembre in prima linea, venne ferito alle braccia (il destro non guarirà mai completamente) sul Monte Sei Busi, nella zona di San Michele del Carso. Sarà decorato con medaglia d'argento.
Escono intanto a Roma Poesie grigioverdi. L'8 aprile 1918 sposò la bolognese Laura Babini, conosciuta durante la guerra, allora impiegata come ragioniera, più tardi come traduttrice dall'inglese. Un anno e mezzo dopo il matrimonio si trasferì a Milano, con la famiglia (nel frattempo gli è nato il figlio Massimo): assunto al Corriere della Sera di Luigi Albertini.
Nel corso del 1930 pubblicò le raccolte di racconti Gente in Aspromonte (Le Monnier), La signora dell'isola (Carabba) e il romanzo Vent'anni (Treves) che gli valsero poi il premio letterario La Stampa.
Nel gennaio del 1941 tornò per l'ultima volta a San Luca per i funerali del padre. Tornerà più volte a Caraffa del Bianco (RC) per far visita alla madre e al fratello don Massimo, parroco del paese.
Dal 25 luglio all'8 settembre 1943 assunse la direzione "del Popolo di Roma". Con l'occupazione tedesca della città, colpito da mandato di cattura, si rifugiò a Chieti, sotto il falso nome di Guido Giorgi, e visse dando lezioni di inglese. L'amico che ne ha favorito la fuga mantenne i contatti tra lui e la moglie, rimasta a Roma.
Nel giugno del 1944 ritornò a Roma e venne a sapere che il figlio e stato fatto prigioniero in Jugoslavia, poi che era con i partigiani nei dintorni di Bologna.
Nell'autunno di quell'anno fondò, con Francesco Jovine e Libero Bigiaretti, il Sindacato nazionale degli scrittori, di cui fu segretario fino alla morte.
Viveva e lavorava tra Roma, nell'appartamento in Piazza di Spagna, con terrazzo sulla scalinata di Trinità dei Monti, e Vallerano, in provincia di Viterbo, ai piedi dei Monti Cimini, in una grande casa in mezzo alla campagna.
Nell'autunno uscì Quasi una vita (Bompiani) che raccoglie pagine di diario tra il 1927 e il 1947. Con questo libro vinse il Premio Strega 1951 superando in finale m. Soldati, C. Levi e A. Moravia.
Nel 1954 fu operato per un tumore addominale, inizialmente creduto benigno.
Il 20 aprile 1956 uscì sul Corriere della Sera il suo ultimo articolo. Aggravatisi la malattia, che colpì i polmoni, morì a Roma nella sua abitazione il mattino dell'11 giugno 1956, lasciando alcuni romanzi incompiuti e vari altri inediti. La cerimonia funebre, nella chiesa romana di Santa Maria delle Fratte, fu officiata dal fratello don Massimo. È sepolto nel cimitero di Vallerano.
Scrittore di vigorosa serietà morale, è il pessimista rievocatore di una sua mitica e cara Calabria. Pur essendo infatti un intellettuale aperto all'Europa, grazie ai suoi soggiorni all'estero ed i suoi incarichi lavorativi sopratutto in Francia, egli è profondamente radicato alla sua terra e sin dalle prime opere manifesta la necessità di narrare la realtà umile, povera e dolorosa della Calabria sempre con i toni lirici ed evocativi di chi vive oramai lontano.
Il realismo di Alvaro erroneamente scambiato per un atteggiamento politico ed ideologico, gli ha causato non pochi problemi con il regime di Mussolini, la critica del tempo non lo ha aiutato a scrollarsi dall'etichetta attribuitogli, anzi alimentava i sospetti del regime, per cui lo stesso Alvaro di sua decisione rinunciò a parecchi incarichi di prestigio. La sua poesia parlava volentieri di una Calabria mitica, fuori dal tempo, nettamente in contrasto con il mondo caotico delle metropoli. la sua terra era divenuta una sorta di paradiso perduto dove i caratteri somatici e caratteriali erano schietti precisi e duri come nei "racconti paesani" o nella sua più importante opera: Gente in Aspromonte, opera in 13 racconti tutti incentrati su contadini, pastori, emigranti, gente povera ed oppressa dai problemi legati alla sopravvivenza.
In Gente in Aspromonte, nel racconto omonimo, la storia tipica di molte realtà anche diverse e lontane dalla Calabria, la storia di uno oppresso e povero che decide di ribellarsi fino a diventare bandito. La tragedia finale nella decisione di costituirsi illudendosi di ottenere giustizia.
Tra le altre opere di Corrado Alvaro, "Poesie grigioverdi", "L' uomo nel labirinto", "L'amata alla finestra" e "Vent'anni".